MODERATA FONTE
rosa nel giardino
Moderata Fonte
lepri tra le siepi
Venere con Marte
sarà il sole al centro
sopra l’orizzonte
o la terra il fulcro
fonte di ogni fonte?
sarà il mal di Francia
o la bile nera
mia Moderata Fonte
sarà che si fa sera
non potrò scoprire
un nuovo continente
dove trasalire
moderatamente
circumnavigare
l’isola selvaggia
stare via trent’anni
ritornare saggia
vorrei il tuo giardino
Moderata Fonte
vorrei le tue trecce
alte sulla fronte
“il poter celeste
il poter terreno
ogni stato e moto
ogni sito e seno”
LINEARE A
cosa nasconde
la notte fonda?
cosa sottrae a me
quando non guardo?
forse un villaggio
mai contattato
chiuso nella foresta
fuori dal tempo
in una danza
esatonale,
arte degenerata,
una follia di Alban Berg
ma se non vedo,
io non ci credo
cosa succede
se occhio non vede?
cosa rivela a me
quando non guardo?
forse un messaggio
senza mittente
in Lineare A,
indecifrato
forse un mistero
sull’Universo
giovani stelle rare
ancora sepolte
ma se non vedo,
io non ci credo
se penso un albero
dentro alla tundra
quando lo dico esagero
poi cade nell’ombra
wunderkammer
cosa resta nel deserto
dopo che te ne sei andata?
nella pietra del giurassico
che non si è mai crepata
della neve che si scioglie
nella settimana bianca
delle sette meraviglie
della nonna che mi manca
solo fossili e coralli
solo il suono delle voci
solo capre con due teste
nella stanza dei segreti
wunderkammer
apri la tua porta
all’orizzonte delle cose
con l’erbario, la poetessa
l’entomologo e le api
mirabilia e naturalia
delle corse in mezzo ai prati
c’è più vita oltre la morte
nelle resine dei vasi,
dentro al senso delle frasi
o in entrambi i casi?
solo bestie e perle rare
solo il suono dei pianeti
solo piante essiccate
nella stanza dei segreti
wunderkammer
apri la tua porta
all’orizzonte delle cose
esemplari, solo teche di esemplari
esemplari, di selvatici esemplari
esemplari, desiderio di esemplari
esemplari, di esecrabili esemplari
la sezione del vulcano
un ex-voto alla Luna
le rovine della Terra
wunderkammer
schiudi la tua porta
all’orizzonte delle cose
archeologie
nel tempo
ritrovo sempre un nuovo turbamento
i resti di un’estate in riva al fiume
di contro
se chiudo gli occhi non mi disoriento
mi abbronzo in una luce bizantina
mi sveglio in una luce di lamiere
e poi rimango ferma ad aspettare
come sulle ciminiere
a pezzi sotto al sole
come se non fossimo di qui
come se cercassi
un altro modo di andar via
come se poi lo trovassi nella nostalgia
nel tempio
nelle rovine di una cattedrale
la permanenza del rito ancestrale
da sempre
l’amore è una scoperta accidentale
ritrovo un bronzo come di Riace
mi addentro in una bocca di fornace
mi mostra ciò di cui sono capace
come sulle ciminiere
a pezzi sotto al sole
come se non fossimo di qui
come se cercassi
un altro modo di andar via
come se poi lo trovassi nella nostalgia
come sulle ciminiere
a pezzi sotto al sole
come se non fossimo di qui
monumento
come un cervo sacro
che resiste al tempo
prendere il tuo cuore
farne un monumento
leggere il memento
sopra il campanile
poi dopo il rintocco
prendere il fucile
per cercarti ancora
dentro al sottobosco
tra le bacche scure
che non riconosco
cogliere il momento
trattenere il fiato
mettersi in ginocchio
compiere il reato
come un cervo sacro
che resiste al tempo
prendere il tuo cuore
farne un monumento
cancellar la colpa
con una preghiera
ritrovarsi accanto
un fiore a primavera
dopo la rugiada
l’acqua tra i capelli
come il sangue rosso
sotto alle tue pelli
metterle a seccare
più vicino al fuoco
che se poi lo guardo
quasi quasi brucio
dire la poesia
che mi resta in mente
anche nel futuro
quando non so niente
come la canzone
che ricordo a stento
e proprio sul più bello
parte il ritornello
prenderti la mano
per l’ultima volta
ritirare tutto
chiudere la porta
come un cervo sacro
che resiste al tempo
prendere il tuo cuore
farne un monumento
arco-gravità
sulla spiaggia alpina
finta acquamarina
l’aria è cristallina
sento il vento
il lago è come un mare
che non si può nuotare
non vorrei annegare
nell’arco-gravità
nell’arco-gravità
ma se te ne vai
resta un vuoto di pietra
300 metri di profondità
affiorano alberi, case, Demetra
riti misterici
arco-gravità
la curva del cemento
disegna l’orizzonte
ed è il coronamento
del sogno che ho di fronte:
ricordo dentro al fiordo
tutte le miniere attorno
come scritto sull’accordo
tra gli stati del nord-est
e il fascino glaciale
della vecchia ferrovia
nella città fantasma
conosciuta solo a noi
e appare dallo spazio-tempo
il cacciatore estinto
nella sua capanna
trascendentalista
a prima vista
e il pianoforte nel teatro
abbandonato, suona ancora
un inno al Sole
che non fa ritorno
fino a marzo
ma sotto ai nevai
resta un vuoto di pietra
300 metri di profondità
affiorano alberi, case, Demetra
riti misterici
arco-gravità
furia iconoclasta
presa
dalla furia iconoclasta
non ho provato pietà
morte
alla statua pederasta
decapitatela
niente
più rimane dell’artista
neanche la vergine
figlia
del pastore metodista
volta al disordine
forse
può sembrare un po’ egoista
non riconoscere
l’aura
del poeta stalinista
dimenticarsene
e forse
l’architetto modernista
ama le rondini
dietro
il cemento brutalista
dormono gli uomini
dentro all’opera
il sogno inaccettabile
non ritornerà
mai più
la canzone dell’oblio
parlo di te
nella canzone dell’addio
l’aria di un giorno di pioggia
parla da sé
e già lo sento il suo fruscio
soffia e poi mi incoraggia
vorrei fosse qui per sempre
nella canzone dell’oblio
tra fitti rovi di bosco
dove dimenticare
o confondermi le idee
ora non mi riconosco
e non so più dire
in che memoria
credevo a una santa,
Madonna delle spine,
Signora della reminiscenza
salvami tu,
dalla canzone dell’addio
restare qui per sempre
nella stazione dell’oblio
tra i mangiatori di loto
per ritornare ancora
a confondermi le idee
come in un salto nel vuoto
e non so più dire
in che memoria
credevo a una santa,
Madonna delle spine,
Signora della dimenticanza
e non so più dire
a memoria
nemmeno il mio nome,
Madonna del rumore,
se la memoria
è un atto d’amore
salvati tu,
dalla canzone dell’addio
quando mi rivedrai non dire niente
vanitas
nella natura vuota
dei simboli appassiti
nei fiori marcescenti
sui tavoli imbanditi
nel teschio annichilito
avvolto dal serpente
la fine delle cose
morendo, al niente
nei campi di meliga
nei sogni dell’America
la falce incandescente
di estate periferica
nel frutto del peccato
raccolto decadente
la fine delle cose
morendo, al niente
niente
nella stagione quinta
la festa del paese
le candeline spente
nel buio delle chiese
nella stagione quinta
il rito di passaggio
il morso del ramarro
sull’albero del maggio
nel vortice di polvere
del ballo del presente
la fine delle cose
morendo, al niente
niente
poi all’improvviso il vento
un verso di animale
dalla montagna sacra
distesa sul fondale
la pioggia che disseta
la bocca del pluviale
il fiume che discende
e poi risale, risale, risale
un desiderio nuovo
se canterà
dietro alla tenda
come Pitagora,
t’ingannerai:
è l’usignolo,
non l’allodola
oh, mio re!
come farai a dire di no?
ti porterà
un desiderio nuovo,
un idolo
lo troverai
sulla montagna
sotto alla polvere
al mio tre
scatenate i cani del re!
oh, del dolce mal
prima radice
mentre mi rivive
mi ferisce
ma è la cosa che
mi fa felice
un suono che si avvera
e poi sparisce
oh, del dolce mal
prima radice
mentre mi rivive
mi ferisce
ma è la cosa che
mi fa felice
un suono che si avvera
e poi svanisce
oh, mio re!
come farai a dire di no?

